Squarcio d’infinito

China ostruisce un’agave il sentiero da cui si ergono timidi i germogli d’eucalipto. Scappa un verzellino dal groppone giallo. Una rosa di fuoco dilaga, umana. Inerme osserva un gabbiano alto levato, la patria sua è il mare e nel silenzio annega. Sul polveroso litore di ghiaia impavidi fruscelli le foglie al sole volgono, mentre a frotte s’azzuffan le calandre. S’erge un torrione solitario in ginocchio sul mare, eterno al tempo, mentre l’agone dei picchi svetta e squarcia le fitte nubi. Tra i fichi d’india e grappoli di paritaria un rifugio cerca un ramarro, nella parete nera. Per sterili brume si cerca la pace, incespicando tra polverosi sassi. Il mare sussurra e chiama quell’arbusto in sul dirupo, e di vaga bellezza austera si fa di ebano il mare, quando batte sul litore scosceso. …e la torre sgretola all’inforzar del vento… La brama si prova di libertà e l’orizzonte chiama chi ne ha sete. La nube si squarcia e penetra, in gocce di luce, l’infinito. E il gambero cieco in una pozza che ristagna nella salmastra baia, nulla brama, ché un’ostrica mozzata. Il paguro dalle scarlatte antenne si ritira nel guscio assai sicuro. Se osservi attento, ogni vibrar, da osservatore diventi parte e senti l’armonia del tutto non che un frammento di falesia.

Praia a mare

20 aprile 2003

Squarcio d’infinito

China ostruisce un’agave il sentiero da cui si ergono timidi i germogli d’eucalipto. Scappa un verzellino dal groppone giallo. Una rosa di fuoco dilaga, umana. Inerme osserva un gabbiano alto levato, la patria sua è il mare e nel silenzio annega. Sul polveroso litore di ghiaia impavidi fruscelli le foglie al sole volgono, mentre a frotte s’azzuffan le calandre. S’erge un torrione solitario in ginocchio sul mare, eterno al tempo, mentre l’agone dei picchi svetta e squarcia le fitte nubi. Tra i fichi d’india e grappoli di paritaria un rifugio cerca un ramarro, nella parete nera. Per sterili brume si cerca la pace, incespicando tra polverosi sassi. Il mare sussurra e chiama quell’arbusto in sul dirupo, e di vaga bellezza austera si fa di ebano il mare, quando batte sul litore scosceso. …e la torre sgretola all’inforzar del vento… La brama si prova di libertà e l’orizzonte chiama chi ne ha sete. La nube si squarcia e penetra, in gocce di luce, l’infinito. E il gambero cieco in una pozza che ristagna nella salmastra baia, nulla brama, ché un’ostrica mozzata. Il paguro dalle scarlatte antenne si ritira nel guscio assai sicuro. Se osservi attento, ogni vibrar, da osservatore diventi parte e senti l’armonia del tutto non che un frammento di falesia.

Praia a mare

20 aprile 2003

Praia a mare

20 aprile 2003

Squarcio d’infinito

China ostruisce un’agave il sentiero da cui si ergono timidi i germogli d’eucalipto. Scappa un verzellino dal groppone giallo. Una rosa di fuoco dilaga, umana. Inerme osserva un gabbiano alto levato, la patria sua è il mare e nel silenzio annega. Sul polveroso litore di ghiaia impavidi fruscelli le foglie al sole volgono, mentre a frotte s’azzuffan le calandre. S’erge un torrione solitario in ginocchio sul mare, eterno al tempo, mentre l’agone dei picchi svetta e squarcia le fitte nubi. Tra i fichi d’india e grappoli di paritaria un rifugio cerca un ramarro, nella parete nera. Per sterili brume si cerca la pace, incespicando tra polverosi sassi. Il mare sussurra e chiama quell’arbusto in sul dirupo, e di vaga bellezza austera si fa di ebano il mare, quando batte sul litore scosceso. …e la torre sgretola all’inforzar del vento… La brama si prova di libertà e l’orizzonte chiama chi ne ha sete. La nube si squarcia e penetra, in gocce di luce, l’infinito. E il gambero cieco in una pozza che ristagna nella salmastra baia, nulla brama, ché un’ostrica mozzata. Il paguro dalle scarlatte antenne si ritira nel guscio assai sicuro. Se osservi attento, ogni vibrar, da osservatore diventi parte e senti l’armonia del tutto non che un frammento di falesia.

Praia a mare

20 aprile 2003

Squarcio d’infinito

China ostruisce un’agave il sentiero da cui si ergono timidi i germogli d’eucalipto. Scappa un verzellino dal groppone giallo. Una rosa di fuoco dilaga, umana. Inerme osserva un gabbiano alto levato, la patria sua è il mare e nel silenzio annega. Sul polveroso litore di ghiaia impavidi fruscelli le foglie al sole volgono, mentre a frotte s’azzuffan le calandre. S’erge un torrione solitario in ginocchio sul mare, eterno al tempo, mentre l’agone dei picchi svetta e squarcia le fitte nubi. Tra i fichi d’india e grappoli di paritaria un rifugio cerca un ramarro, nella parete nera. Per sterili brume si cerca la pace, incespicando tra polverosi sassi. Il mare sussurra e chiama quell’arbusto in sul dirupo, e di vaga bellezza austera si fa di ebano il mare, quando batte sul litore scosceso. …e la torre sgretola all’inforzar del vento… La brama si prova di libertà e l’orizzonte chiama chi ne ha sete. La nube si squarcia e penetra, in gocce di luce, l’infinito. E il gambero cieco in una pozza che ristagna nella salmastra baia, nulla brama, ché un’ostrica mozzata. Il paguro dalle scarlatte antenne si ritira nel guscio assai sicuro. Se osservi attento, ogni vibrar, da osservatore diventi parte e senti l’armonia del tutto non che un frammento di falesia.

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20 aprile 2003

Squarcio d’infinito

China ostruisce un’agave il sentiero da cui si ergono timidi i germogli d’eucalipto. Scappa un verzellino dal groppone giallo. Una rosa di fuoco dilaga, umana. Inerme osserva un gabbiano alto levato, la patria sua è il mare e nel silenzio annega. Sul polveroso litore di ghiaia impavidi fruscelli le foglie al sole volgono, mentre a frotte s’azzuffan le calandre. S’erge un torrione solitario in ginocchio sul mare, eterno al tempo, mentre l’agone dei picchi svetta e squarcia le fitte nubi. Tra i fichi d’india e grappoli di paritaria un rifugio cerca un ramarro, nella parete nera. Per sterili brume si cerca la pace, incespicando tra polverosi sassi. Il mare sussurra e chiama quell’arbusto in sul dirupo, e di vaga bellezza austera si fa di ebano il mare, quando batte sul litore scosceso. …e la torre sgretola all’inforzar del vento… La brama si prova di libertà e l’orizzonte chiama chi ne ha sete. La nube si squarcia e penetra, in gocce di luce, l’infinito. E il gambero cieco in una pozza che ristagna nella salmastra baia, nulla brama, ché un’ostrica mozzata. Il paguro dalle scarlatte antenne si ritira nel guscio assai sicuro. Se osservi attento, ogni vibrar, da osservatore diventi parte e senti l’armonia del tutto non che un frammento di falesia.

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