L’uomo con la nuvola nella valigia

Un dì dissero “sei un uomo che ha una nuvola nella valigia”. Cosa avranno voluto dire? Un uomo che trascina una nuvola sempre con sé… La nuvola è leggera spuma d’acqua, vapore, leggerezza; essa è consta di movimento puro, molecole libere che corrono e scorrono una sull’altra come biglie che si sfiorano a spire di serpente. La nuvola è anche sogno in movimento, è un modo di vedere le cose, afferisce all’interpretazione del sublime; è la dimostrazione della caducità dell’uomo di fronte alla Physis¹. Secondo dòxai², dalla nuvola scaturisce ombra: coltre tediosa e soffice malinconia che si riversa sulle città. O riparo fresco da un tremolante sole grigio, e piacevole refrigerio da una scialba canicola che ovatta i greti e le incanutite sterpaglie dei cortili polverosi. Le nuvole preannunciano tempesta, la loro; ammoniscono la loro stessa malefatta, portano in seno la potenza della folgore; sono presagio di loro stesse e delle loro azioni. O chiedono aiuto? Urlano forse la loro agonia nell’attesa di tornare acqua e scrosciare sul mondo, lo stesso mondo al quale sono sfuggite, levandosi in alto rimirando dalle altitudini intonse. Chi è quell’uomo che porta una nuvola nella valigia? Chiunque egli sia, tratterrà spuma di cielo in cattività, invidioso della capacità di librarsi in aria; e così la trattiene su quel mondo che la nuvola rifugge. La condanna alla morte preannunciata. Ma perché la porterebbe sempre con sé se le volesse così male? Forse la sente sua, una parte del proprio sé, un lato della sua persona, un id che vorrebbe lui stesso raggiungere; la fa parte di se stesso, la tiene salda, come impugna quella maniglia di cuoio; la brandisce, la soffoca. L’anela intensamente, la vuole sempre con sé, la brama; senza ne risulterebbe depauperato. Si rivelerebbe privato di una parte di sé. Ma cos’è per lui quella nuvola? A quale parte di psiche³ afferisce? È la sua voglia di sognare, è ciò che lo rappresenta, è la porzione di mondo alla quale si proietta il suo essere, è la sua Vorstellung⁴ schopenhaueriana, di cui sente il bisogno per sopravvivere. È il suo stagno di Narciso, vi si rispecchia; dalla consapevolezza di possederla ne conviene giovamento. Non è da biasimare alcun bisogno di un essere umano; tale bisogno è intrinseco, per cui appartiene alla sua natura, ed è perciò avulso da ogni logica che lo denigri. È⁵, ed è come tale; esiste. Dal suo stato si evince il desiderio di essere, e palesare agli altri un pizzico di eccentricità, come si esibisce all’occhiello un girasole⁶. Al contrario d’un fiore, una nuvola non presenta la stessa matericità: non ha colore materico, è bensì concolore⁷, muta col mutar del cielo. È bianco, è bruno, ora carminio, ora turchino. Ora è livido, ora candido; è spuma che si tramuta in scia, a pennellate grosse e dense, talora liquide e fugaci. Rotola su se stessa, poi sta: la cinèsi coesiste con la stasi. Pascola in greggi, in solitudine plana. Si riversa sui colli come lo zucchero sui dolci; poi fuma e s’arriccia, come da un sigaro a terra gettato, esalante gli ultimi respiri. Ora sale e s’imbianca, ora torbida in nebbia dilaga. Dal vento è addensata, talora lacerata. Borbotta rumorosa o in quiete scivola; fa coro col vento, e sibila la sua nenia; s’imbruna del color del piombo, salata vortica e tùrbina, soffiata dal ribelle elemento… poi tace. È neutra al tatto, effimera di consistenza mutevole: umida e fredda, tiepida e impercettibile. È parte di creato di un altro mondo, come se discendesse da un iperuranio⁸, poiché perfetta: tende al nulla, e come tale risulta sublime. A mantelli s’imbroncia, si distende in veli. Si muove, si trasforma di una celeste metamorfosi; scorre come tutto scorre⁹. È come il fiume al quale non c’è dato di scendere due volte; varia al trascorrer del tempo, come varia qualunque cosa. Va, schiava del divenire, come affumicata la banderuola girava, senza pietà, in cima al tetto della casa dei doganieri¹⁰. E come Montale carpì un capo del filo che s’addipanava, così quell’uomo stringe quella valigia. Salda la tiene, come vorrebbe trattenere il tempo crudele; crede nell’utopia di arrestarne il flusso, come se un ciottolo potesse esser d’impedimento alla marea. E se i diafani vapori fossero spiriti sapienti? Entità cogitanti senza occhi né tessuti, che amano e sopravvivono¹¹? O forse drappi che di alti reami dischiudono le porte¹²?

26 luglio 2008

26 luglio 2008

L’uomo con la nuvola nella valigia

Un dì dissero “sei un uomo che ha una nuvola nella valigia”. Cosa avranno voluto dire? Un uomo che trascina una nuvola sempre con sé… La nuvola è leggera spuma d’acqua, vapore, leggerezza; essa è consta di movimento puro, molecole libere che corrono e scorrono una sull’altra come biglie che si sfiorano a spire di serpente. La nuvola è anche sogno in movimento, è un modo di vedere le cose, afferisce all’interpretazione del sublime; è la dimostrazione della caducità dell’uomo di fronte alla Physis¹. Secondo dòxai², dalla nuvola scaturisce ombra: coltre tediosa e soffice malinconia che si riversa sulle città. O riparo fresco da un tremolante sole grigio, e piacevole refrigerio da una scialba canicola che ovatta i greti e le incanutite sterpaglie dei cortili polverosi. Le nuvole preannunciano tempesta, la loro; ammoniscono la loro stessa malefatta, portano in seno la potenza della folgore; sono presagio di loro stesse e delle loro azioni. O chiedono aiuto? Urlano forse la loro agonia nell’attesa di tornare acqua e scrosciare sul mondo, lo stesso mondo al quale sono sfuggite, levandosi in alto rimirando dalle altitudini intonse. Chi è quell’uomo che porta una nuvola nella valigia? Chiunque egli sia, tratterrà spuma di cielo in cattività, invidioso della capacità di librarsi in aria; e così la trattiene su quel mondo che la nuvola rifugge. La condanna alla morte preannunciata. Ma perché la porterebbe sempre con sé se le volesse così male? Forse la sente sua, una parte del proprio sé, un lato della sua persona, un id che vorrebbe lui stesso raggiungere; la fa parte di se stesso, la tiene salda, come impugna quella maniglia di cuoio; la brandisce, la soffoca. L’anela intensamente, la vuole sempre con sé, la brama; senza ne risulterebbe depauperato. Si rivelerebbe privato di una parte di sé. Ma cos’è per lui quella nuvola? A quale parte di psiche³ afferisce? È la sua voglia di sognare, è ciò che lo rappresenta, è la porzione di mondo alla quale si proietta il suo essere, è la sua Vorstellung⁴ schopenhaueriana, di cui sente il bisogno per sopravvivere. È il suo stagno di Narciso, vi si rispecchia; dalla consapevolezza di possederla ne conviene giovamento. Non è da biasimare alcun bisogno di un essere umano; tale bisogno è intrinseco, per cui appartiene alla sua natura, ed è perciò avulso da ogni logica che lo denigri. È⁵, ed è come tale; esiste. Dal suo stato si evince il desiderio di essere, e palesare agli altri un pizzico di eccentricità, come si esibisce all’occhiello un girasole⁶. Al contrario d’un fiore, una nuvola non presenta la stessa matericità: non ha colore materico, è bensì concolore⁷, muta col mutar del cielo. È bianco, è bruno, ora carminio, ora turchino. Ora è livido, ora candido; è spuma che si tramuta in scia, a pennellate grosse e dense, talora liquide e fugaci. Rotola su se stessa, poi sta: la cinèsi coesiste con la stasi. Pascola in greggi, in solitudine plana. Si riversa sui colli come lo zucchero sui dolci; poi fuma e s’arriccia, come da un sigaro a terra gettato, esalante gli ultimi respiri. Ora sale e s’imbianca, ora torbida in nebbia dilaga. Dal vento è addensata, talora lacerata. Borbotta rumorosa o in quiete scivola; fa coro col vento, e sibila la sua nenia; s’imbruna del color del piombo, salata vortica e tùrbina, soffiata dal ribelle elemento… poi tace. È neutra al tatto, effimera di consistenza mutevole: umida e fredda, tiepida e impercettibile. È parte di creato di un altro mondo, come se discendesse da un iperuranio⁸, poiché perfetta: tende al nulla, e come tale risulta sublime. A mantelli s’imbroncia, si distende in veli. Si muove, si trasforma di una celeste metamorfosi; scorre come tutto scorre⁹. È come il fiume al quale non c’è dato di scendere due volte; varia al trascorrer del tempo, come varia qualunque cosa. Va, schiava del divenire, come affumicata la banderuola girava, senza pietà, in cima al tetto della casa dei doganieri¹⁰. E come Montale carpì un capo del filo che s’addipanava, così quell’uomo stringe quella valigia. Salda la tiene, come vorrebbe trattenere il tempo crudele; crede nell’utopia di arrestarne il flusso, come se un ciottolo potesse esser d’impedimento alla marea. E se i diafani vapori fossero spiriti sapienti? Entità cogitanti senza occhi né tessuti, che amano e sopravvivono¹¹? O forse drappi che di alti reami dischiudono le porte¹²?

26 luglio 2008

L’uomo con la nuvola nella valigia

Un dì dissero “sei un uomo che ha una nuvola nella valigia”. Cosa avranno voluto dire? Un uomo che trascina una nuvola sempre con sé… La nuvola è leggera spuma d’acqua, vapore, leggerezza; essa è consta di movimento puro, molecole libere che corrono e scorrono una sull’altra come biglie che si sfiorano a spire di serpente. La nuvola è anche sogno in movimento, è un modo di vedere le cose, afferisce all’interpretazione del sublime; è la dimostrazione della caducità dell’uomo di fronte alla Physis¹. Secondo dòxai², dalla nuvola scaturisce ombra: coltre tediosa e soffice malinconia che si riversa sulle città. O riparo fresco da un tremolante sole grigio, e piacevole refrigerio da una scialba canicola che ovatta i greti e le incanutite sterpaglie dei cortili polverosi. Le nuvole preannunciano tempesta, la loro; ammoniscono la loro stessa malefatta, portano in seno la potenza della folgore; sono presagio di loro stesse e delle loro azioni. O chiedono aiuto? Urlano forse la loro agonia nell’attesa di tornare acqua e scrosciare sul mondo, lo stesso mondo al quale sono sfuggite, levandosi in alto rimirando dalle altitudini intonse. Chi è quell’uomo che porta una nuvola nella valigia? Chiunque egli sia, tratterrà spuma di cielo in cattività, invidioso della capacità di librarsi in aria; e così la trattiene su quel mondo che la nuvola rifugge. La condanna alla morte preannunciata. Ma perché la porterebbe sempre con sé se le volesse così male? Forse la sente sua, una parte del proprio sé, un lato della sua persona, un id che vorrebbe lui stesso raggiungere; la fa parte di se stesso, la tiene salda, come impugna quella maniglia di cuoio; la brandisce, la soffoca. L’anela intensamente, la vuole sempre con sé, la brama; senza ne risulterebbe depauperato. Si rivelerebbe privato di una parte di sé. Ma cos’è per lui quella nuvola? A quale parte di psiche³ afferisce? È la sua voglia di sognare, è ciò che lo rappresenta, è la porzione di mondo alla quale si proietta il suo essere, è la sua Vorstellung⁴ schopenhaueriana, di cui sente il bisogno per sopravvivere. È il suo stagno di Narciso, vi si rispecchia; dalla consapevolezza di possederla ne conviene giovamento. Non è da biasimare alcun bisogno di un essere umano; tale bisogno è intrinseco, per cui appartiene alla sua natura, ed è perciò avulso da ogni logica che lo denigri. È⁵, ed è come tale; esiste. Dal suo stato si evince il desiderio di essere, e palesare agli altri un pizzico di eccentricità, come si esibisce all’occhiello un girasole⁶. Al contrario d’un fiore, una nuvola non presenta la stessa matericità: non ha colore materico, è bensì concolore⁷, muta col mutar del cielo. È bianco, è bruno, ora carminio, ora turchino. Ora è livido, ora candido; è spuma che si tramuta in scia, a pennellate grosse e dense, talora liquide e fugaci. Rotola su se stessa, poi sta: la cinèsi coesiste con la stasi. Pascola in greggi, in solitudine plana. Si riversa sui colli come lo zucchero sui dolci; poi fuma e s’arriccia, come da un sigaro a terra gettato, esalante gli ultimi respiri. Ora sale e s’imbianca, ora torbida in nebbia dilaga. Dal vento è addensata, talora lacerata. Borbotta rumorosa o in quiete scivola; fa coro col vento, e sibila la sua nenia; s’imbruna del color del piombo, salata vortica e tùrbina, soffiata dal ribelle elemento… poi tace. È neutra al tatto, effimera di consistenza mutevole: umida e fredda, tiepida e impercettibile. È parte di creato di un altro mondo, come se discendesse da un iperuranio⁸, poiché perfetta: tende al nulla, e come tale risulta sublime. A mantelli s’imbroncia, si distende in veli. Si muove, si trasforma di una celeste metamorfosi; scorre come tutto scorre⁹. È come il fiume al quale non c’è dato di scendere due volte; varia al trascorrer del tempo, come varia qualunque cosa. Va, schiava del divenire, come affumicata la banderuola girava, senza pietà, in cima al tetto della casa dei doganieri¹⁰. E come Montale carpì un capo del filo che s’addipanava, così quell’uomo stringe quella valigia. Salda la tiene, come vorrebbe trattenere il tempo crudele; crede nell’utopia di arrestarne il flusso, come se un ciottolo potesse esser d’impedimento alla marea. E se i diafani vapori fossero spiriti sapienti? Entità cogitanti senza occhi né tessuti, che amano e sopravvivono¹¹? O forse drappi che di alti reami dischiudono le porte¹²?

L’uomo con la nuvola nella valigia

Un dì dissero “sei un uomo che ha una nuvola nella valigia”. Cosa avranno voluto dire? Un uomo che trascina una nuvola sempre con sé… La nuvola è leggera spuma d’acqua, vapore, leggerezza; essa è consta di movimento puro, molecole libere che corrono e scorrono una sull’altra come biglie che si sfiorano a spire di serpente. La nuvola è anche sogno in movimento, è un modo di vedere le cose, afferisce all’interpretazione del sublime; è la dimostrazione della caducità dell’uomo di fronte alla Physis¹. Secondo dòxai², dalla nuvola scaturisce ombra: coltre tediosa e soffice malinconia che si riversa sulle città. O riparo fresco da un tremolante sole grigio, e piacevole refrigerio da una scialba canicola che ovatta i greti e le incanutite sterpaglie dei cortili polverosi. Le nuvole preannunciano tempesta, la loro; ammoniscono la loro stessa malefatta, portano in seno la potenza della folgore; sono presagio di loro stesse e delle loro azioni. O chiedono aiuto? Urlano forse la loro agonia nell’attesa di tornare acqua e scrosciare sul mondo, lo stesso mondo al quale sono sfuggite, levandosi in alto rimirando dalle altitudini intonse. Chi è quell’uomo che porta una nuvola nella valigia? Chiunque egli sia, tratterrà spuma di cielo in cattività, invidioso della capacità di librarsi in aria; e così la trattiene su quel mondo che la nuvola rifugge. La condanna alla morte preannunciata. Ma perché la porterebbe sempre con sé se le volesse così male? Forse la sente sua, una parte del proprio sé, un lato della sua persona, un id che vorrebbe lui stesso raggiungere; la fa parte di se stesso, la tiene salda, come impugna quella maniglia di cuoio; la brandisce, la soffoca. L’anela intensamente, la vuole sempre con sé, la brama; senza ne risulterebbe depauperato. Si rivelerebbe privato di una parte di sé. Ma cos’è per lui quella nuvola? A quale parte di psiche³ afferisce? È la sua voglia di sognare, è ciò che lo rappresenta, è la porzione di mondo alla quale si proietta il suo essere, è la sua Vorstellung⁴ schopenhaueriana, di cui sente il bisogno per sopravvivere. È il suo stagno di Narciso, vi si rispecchia; dalla consapevolezza di possederla ne conviene giovamento. Non è da biasimare alcun bisogno di un essere umano; tale bisogno è intrinseco, per cui appartiene alla sua natura, ed è perciò avulso da ogni logica che lo denigri. È⁵, ed è come tale; esiste. Dal suo stato si evince il desiderio di essere, e palesare agli altri un pizzico di eccentricità, come si esibisce all’occhiello un girasole⁶. Al contrario d’un fiore, una nuvola non presenta la stessa matericità: non ha colore materico, è bensì concolore⁷, muta col mutar del cielo. È bianco, è bruno, ora carminio, ora turchino. Ora è livido, ora candido; è spuma che si tramuta in scia, a pennellate grosse e dense, talora liquide e fugaci. Rotola su se stessa, poi sta: la cinèsi coesiste con la stasi. Pascola in greggi, in solitudine plana. Si riversa sui colli come lo zucchero sui dolci; poi fuma e s’arriccia, come da un sigaro a terra gettato, esalante gli ultimi respiri. Ora sale e s’imbianca, ora torbida in nebbia dilaga. Dal vento è addensata, talora lacerata. Borbotta rumorosa o in quiete scivola; fa coro col vento, e sibila la sua nenia; s’imbruna del color del piombo, salata vortica e tùrbina, soffiata dal ribelle elemento… poi tace. È neutra al tatto, effimera di consistenza mutevole: umida e fredda, tiepida e impercettibile. È parte di creato di un altro mondo, come se discendesse da un iperuranio⁸, poiché perfetta: tende al nulla, e come tale risulta sublime. A mantelli s’imbroncia, si distende in veli. Si muove, si trasforma di una celeste metamorfosi; scorre come tutto scorre⁹. È come il fiume al quale non c’è dato di scendere due volte; varia al trascorrer del tempo, come varia qualunque cosa. Va, schiava del divenire, come affumicata la banderuola girava, senza pietà, in cima al tetto della casa dei doganieri¹⁰. E come Montale carpì un capo del filo che s’addipanava, così quell’uomo stringe quella valigia. Salda la tiene, come vorrebbe trattenere il tempo crudele; crede nell’utopia di arrestarne il flusso, come se un ciottolo potesse esser d’impedimento alla marea. E se i diafani vapori fossero spiriti sapienti? Entità cogitanti senza occhi né tessuti, che amano e sopravvivono¹¹? O forse drappi che di alti reami dischiudono le porte¹²?

26 luglio 2008

26 luglio 2008

L’uomo con la nuvola nella valigia

Un dì dissero “sei un uomo che ha una nuvola nella valigia”. Cosa avranno voluto dire? Un uomo che trascina una nuvola sempre con sé… La nuvola è leggera spuma d’acqua, vapore, leggerezza; essa è consta di movimento puro, molecole libere che corrono e scorrono una sull’altra come biglie che si sfiorano a spire di serpente. La nuvola è anche sogno in movimento, è un modo di vedere le cose, afferisce all’interpretazione del sublime; è la dimostrazione della caducità dell’uomo di fronte alla Physis¹. Secondo dòxai², dalla nuvola scaturisce ombra: coltre tediosa e soffice malinconia che si riversa sulle città. O riparo fresco da un tremolante sole grigio, e piacevole refrigerio da una scialba canicola che ovatta i greti e le incanutite sterpaglie dei cortili polverosi. Le nuvole preannunciano tempesta, la loro; ammoniscono la loro stessa malefatta, portano in seno la potenza della folgore; sono presagio di loro stesse e delle loro azioni. O chiedono aiuto? Urlano forse la loro agonia nell’attesa di tornare acqua e scrosciare sul mondo, lo stesso mondo al quale sono sfuggite, levandosi in alto rimirando dalle altitudini intonse. Chi è quell’uomo che porta una nuvola nella valigia? Chiunque egli sia, tratterrà spuma di cielo in cattività, invidioso della capacità di librarsi in aria; e così la trattiene su quel mondo che la nuvola rifugge. La condanna alla morte preannunciata. Ma perché la porterebbe sempre con sé se le volesse così male? Forse la sente sua, una parte del proprio sé, un lato della sua persona, un id che vorrebbe lui stesso raggiungere; la fa parte di se stesso, la tiene salda, come impugna quella maniglia di cuoio; la brandisce, la soffoca. L’anela intensamente, la vuole sempre con sé, la brama; senza ne risulterebbe depauperato. Si rivelerebbe privato di una parte di sé. Ma cos’è per lui quella nuvola? A quale parte di psiche³ afferisce? È la sua voglia di sognare, è ciò che lo rappresenta, è la porzione di mondo alla quale si proietta il suo essere, è la sua Vorstellung⁴ schopenhaueriana, di cui sente il bisogno per sopravvivere. È il suo stagno di Narciso, vi si rispecchia; dalla consapevolezza di possederla ne conviene giovamento. Non è da biasimare alcun bisogno di un essere umano; tale bisogno è intrinseco, per cui appartiene alla sua natura, ed è perciò avulso da ogni logica che lo denigri. È⁵, ed è come tale; esiste. Dal suo stato si evince il desiderio di essere, e palesare agli altri un pizzico di eccentricità, come si esibisce all’occhiello un girasole⁶. Al contrario d’un fiore, una nuvola non presenta la stessa matericità: non ha colore materico, è bensì concolore⁷, muta col mutar del cielo. È bianco, è bruno, ora carminio, ora turchino. Ora è livido, ora candido; è spuma che si tramuta in scia, a pennellate grosse e dense, talora liquide e fugaci. Rotola su se stessa, poi sta: la cinèsi coesiste con la stasi. Pascola in greggi, in solitudine plana. Si riversa sui colli come lo zucchero sui dolci; poi fuma e s’arriccia, come da un sigaro a terra gettato, esalante gli ultimi respiri. Ora sale e s’imbianca, ora torbida in nebbia dilaga. Dal vento è addensata, talora lacerata. Borbotta rumorosa o in quiete scivola; fa coro col vento, e sibila la sua nenia; s’imbruna del color del piombo, salata vortica e tùrbina, soffiata dal ribelle elemento… poi tace. È neutra al tatto, effimera di consistenza mutevole: umida e fredda, tiepida e impercettibile. È parte di creato di un altro mondo, come se discendesse da un iperuranio⁸, poiché perfetta: tende al nulla, e come tale risulta sublime. A mantelli s’imbroncia, si distende in veli. Si muove, si trasforma di una celeste metamorfosi; scorre come tutto scorre⁹. È come il fiume al quale non c’è dato di scendere due volte; varia al trascorrer del tempo, come varia qualunque cosa. Va, schiava del divenire, come affumicata la banderuola girava, senza pietà, in cima al tetto della casa dei doganieri¹⁰. E come Montale carpì un capo del filo che s’addipanava, così quell’uomo stringe quella valigia. Salda la tiene, come vorrebbe trattenere il tempo crudele; crede nell’utopia di arrestarne il flusso, come se un ciottolo potesse esser d’impedimento alla marea. E se i diafani vapori fossero spiriti sapienti? Entità cogitanti senza occhi né tessuti, che amano e sopravvivono¹¹? O forse drappi che di alti reami dischiudono le porte¹²?

  1. Dal greco Φύσις, la Natura esperenziale ed empirica.

  2. Da Aristotele, αἱ ϰοιναὶ δόξαι, le opinioni comuni e in senso lato i pregiudizi.

  3. Dal greco ψῡχή, l’anima in senso profano, il pneuma vitale, la parte impalpabile, trascendente, contrapposta – secondo la dicotomia classica – al σῶμα, il corpo, entità concreta ed esperibile, conoscibile tramite esperienza empirica.

  4. Il termine tedesco Vorstellung, rappresentazione, è citato da Schopenhauer: «Die Welt ist meine Vorstellung», il mondo è la mia rappresentazione.

  5. È nel senso ontologico del verbo, l’est latino, esistere. «Id est», ciò esiste.

  6. Secondo leggende metropolitane londinesi, Oscar Wilde soleva girare per la città a passo svelto, portando sull’occhiello della giacca un fiore, solitamente un girasole; meno sovente, un giglio.

  7. L’espressione concolore è usata da Dante nel Paradiso (XII, 10):

    «Come si volgon per tenera nube
    due archi paralelli e concolori… ».

    Tale conio descrive un colore mutevole, che si tinge dei colori circostanti, che non ha nulla a che fare con il colore della materia terrena; si riferisce piuttosto ad un’entità non intelligibile, quasi trascendentale, appartenente alle alte sfere.

  8. Dal greco ὑπερ-ουράνιος, letteralmente “oltre il cielo”, mondo trascendente in cui, secondo Platone, sussistevano gli εἶδος, le idee, forme e entità pure, con le quali, per somiglianza, un δημιουργός, demiurgo degli albori, creò il Mondo Empirico.

  9. Dal greco πάντα ῥεῖ, tutto scorre. Si tratta del celebre aforisma attribuito ad Eraclito; in realtà non è mai esplicitamente formulato nei suoi scritti; la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell’Essere propria di Parmenide. L’espressione proviene da un frammento del trattato Περί Φύσεως, Sulla Natura:


    «[…] Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va […]».


    In questo frammento Eraclito sottolinea come l’uomo non possa mai ripetere la stessa esperienza per due volte, giacché ogni ente, nella sua realtà apparente, è sottoposto alla legge inesorabile del tempo.


    Altrove tuttavia Eraclito sottolinea che v’è un λόγος, sottostante a questo continuo mutamento, un’armonia profonda che governa in modo oscuro e inconoscibile la perenne dialettica fra contrari, che provoca il divenire perpetuo delle enti sensibili.


    Il discepolo di Eraclito, Cratilo, estremizzerà poi il pensiero del suo maestro, sostenendo che non solo non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, ma neppure una volta sola.

  10. Da La casa dei Doganieri, in cui Eugenio Montale palesa l’inesorabile e folle scorrere del tempo, e la nostalgia per gli anni passati:

    «[…] e in cima al tetto la banderuola
    affumicata gira senza pietà».

  11. In Satura II, E. Montale cita Porfirio:


    «[…] Ricordavo Porfirio: le anime dei saggi
    possono sopravvivere. Quei pochi
    pensano vedono amano senz’occhi
    né corpo o forma alcuna. Fanno a meno
    del tempo e dello spazio, immarcescibili
    avari […]».

  12. Da Corno inglese, in cui Eugenio Montale, mirando gli spazi aerei nubilosi, sembra scorgere dei varchi per il vero mondo, quello trascendente:


    «[…] Nuvole in viaggio, chiari
    reami di lassù! D’alti Eldoradi
    mal chiuse porte! […]».

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